Diritto di recesso soci cassazione Studio gnecchi

 La Cassazione su diritto di recesso e concorso alla deliberazione

Se i soci partecipano a costruire l’operazione deliberata, assenza o diniego non danno diritto di recesso

 

Con la sentenza n. 30133 dello scorso 14 novembre la Cassazione stabilisce come il concorso all’operazione non si esaurisca nel mero voto assembleare e, dunque, l’eventuale diritto di recesso non possa essere esercitato dal socio che, stante una sua pregressa partecipazione con contributo causale, non si presenti o dissenta in occasione della votazione finale.

 

Il cambio di prospettiva

La recente sentenza interviene a modificare l’abituale interpretazione del primo comma dell’articolo n. 2437 del Codice Civile laddove il diritto di recesso si considera non spettante da quanti votino a favore della deliberazione. A questi, infatti, sono da aggiungere chiunque in passato vi abbia contribuito nelle più varie forme (come l’avallo di un atto propedeutico ma anche operando in suo favore scelte finanziarie, organizzative o decisionali che si dimostrino determinanti al buon esito), anche al vaglio di una successiva posizione ostativa.

 

Il caso di specie

Il caso portato in Cassazione prende le mosse dal processo di integrazione tra due gruppi che ha visto ad un propedeutico accordo d’investimento succedere una serie di prestabilite, approvate e concatenate operazioni. Passaggi che avrebbero dovuto concludersi con la fusione societaria, operazione cui tuttavia una delle parti si rifiutava a procedere esercitando a suo dire il diritto recesso dal primigenio accordo. La motivazione addotta: il non avere preso parte alla delibera conclusiva del processo.

Avendo entrambe partecipato proattivamente alle sue fasi iniziali, ha stabilito la Cassazione, l’intenzione di adire al concordato esito finale era non solo tracciato, ma concretamente partecipato dall’approvazione di atti indispensabili a quel fine. La società ricorrente aveva in particolare contribuito alla delibera di un aumento di capitale finalizzato e inscindibile dalla fusione, nonché attivato una serie di attività ad essa preparatorie e partecipato alla costruzione dell’iter per l’integrazione dei due gruppi. Azioni che i giudici hanno definito “atto prodromico e decisivo” cui i ricorrenti hanno “concorso, in ragione del principio di causalità, anche alla deliberazione di fusione, costituente l’esito finale, programmato ab origine e conosciuto da tutti i soci”.

 

La sentenza

Pur figurando come uno strumento di difesa e tutela del socio investitore, Cassazione ha chiarito che il diritto di recesso non può e non deve rappresentare un éscamotage discriminante della buona fede. Da qui la decisione di rigettare la richiesta.