Non prefigura abuso la scissione parziale a favore del socio unico

L’Agenzia delle Entrate sull’interpello: “Nessun vantaggio fiscale illecito”

Non si delinea necessità di ricorrere e applicare disciplina sull’abuso del diritto qualora una scissione parziale veda il trasferimento alla controllante d’una quota detenuta dalla scissa. È quanto stabilito dall’Agenzia delle Entrate nella risposta 317 dello scorso 8 maggio all’istanza d’interpello.

Il caso

La vicenda prende le mosse dalla riorganizzazione societaria e gestionale di un gruppo la cui società di vertice detiene partecipazioni dirette in svariate altre società che, loro volta, vantano il controllo strategico di alcune controllate e marchi. Il tutto concorre, in una struttura ben organizzata e coordinata, alle comuni finalità d’impresa, almeno finché non cambia il modello di business di una delle realtà intermedie di cui la capogruppo detiene delle quote: si allarga il perimetro delle attività di produzione e distribuzione, tra l’altro coinvolgendo e trattando marchi terzi rispetto a quelli afferenti all’originale “piramide”. La nuova governance suggerisce la necessità di ridefinire e semplificare la catena societaria di controllo. Si stabilisce di procedere a partecipazione diretta della capogruppo all’originale marchio alla “base” della piramide e riallocazione della società intermedia al fine di meglio valorizzarne nuova identità e sopravvenuto modello di business. Si procede dunque a scissione parziale di quest’ultima alla capogruppo, cui sarà congiuntamente assegnata l’intera partecipazione della controllata in origine detenuta dall’intermedia.

La procedura (di fatto una riorganizzazione interna al gruppo funzionale al comune beneficio) è effettuata, dal punto di vista fiscale, su base di valori netti contabili senza emersione di concambi. Non solo: non sono assegnate nuove quote, poiché la beneficiaria è proprietaria dell’intero capitale sociale della scissa. I dubbi circa un illecito ex articolo 10 bis della Legge n. 212 del 27 luglio 2000 (“Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente”) sono chiariti dall’Agenzia delle Entrate.

La risposta

Il parere ritiene l’operazione non abusiva a ragion del fatto che non comporti realizzazione d’alcun vantaggio fiscale indebito. Infatti, come richiama l’Agenzia, la relazione illustrativa  al  decreto legislativo  D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128, chiarisce che “… non è possibile configurare una condotta abusiva laddove il contribuente scelga, per dare luogo all’estinzione di una società, di procedere a una fusione anziché alla liquidazione. È vero che la prima operazione è a carattere neutrale e la seconda ha, invece, natura realizzativa, ma nessuna disposizione tributaria mostra ”preferenza” per l’una o l’altra operazione; sono due operazioni messe sullo stesso piano, ancorché disciplinate da regole fiscali diverse“. Pertanto, scissione e assegnazione della partecipazione al socio appaiono entrambe operazioni fisiologicamente  idonee e poste  su un  piano  di  pari  dignità,  per il conseguimento di una semplificazione della catena societaria.

Viene inoltre richiamato l’articolo 173 del TUIR a dimostrazione che la scissione sia operazione fiscalmente neutrale, e il principio di neutralità, osserva l’Agenzia delle Entrate, interessa ai fini IRES come a quelli IRAP. In merito all’IVA è citato l’articolo 2, comma 3, lettera f del Decreto del Presidente della Repubblica del 26 ottobre 1972, n. 633 che osserva che “i passaggi di beni in dipendenza di fusioni, scissioni o trasformazioni di società e di analoghe operazioni poste in essere da altri entiesulino dall’ambito applicativo dell’IVA. Nella fattispecie, in più, è pacifico il trasferimento di beni non interessi società di mero godimento, ma sia funzionale a promuovere l’attività d’impresa. Al fine dell’imposta di registro, in ultimo, l’operazione di scissione attiene a un esborso fisso di € 200,00 in ossequio a quanto stabilito dall’articolo 4, comma 1, lettera b), della tariffa, parte prima, allegata al TUR di cui al d.P.R. n. 131 del 1986.