Società di persone: cosa succede quando un socio muore?

Tra clausole di continuazione e consolidazione: lo statuto come strumento

 A differenza delle società di capitali, nelle società di persone i soci si fanno carico di responsabilità illimitata con il proprio patrimonio personale. Non solo: rappresentano l’imprescindibile valore e un tratto caratteristico dell’assetto societario. Un “bene”, tuttavia, che non è automaticamente trasmissibile in caso di morte, e non è dunque sempre chiaro come l’eventuale subentro nella partecipazione sociale debba procedere. Vediamo allora di comprendere meglio quale iter si prospetti.

 Cosa dice la legge

 La morte d’un socio nelle società di persone è disciplinata dall’art. 2284 del Codice Civile, che chiarisce come, a differenza di altri tipi di società, la sua quota sia trasferita su base ereditaria. I rimanenti soci, salvo contraria disposizione prevista dal contratto sociale, hanno a questo punto tre opzioni: procedere a liquidare gli eredi (una volta che questi abbiano accettato e portato a termine l’iter successorio), continuare con la società grazie al subentro dei successori del defunto (naturalmente previo formalizzazione dal notaio), sciogliere la stessa. Approfondiamo i singoli casi.

1.  Liquidazione degli eredi

 Entro il termine massimo di sei mesi (a meno che sussista una previsione statutaria che consenta una proroga) i soci sopravviventi devono provvedere alla redazione di una situazione patrimoniale e, quindi, versare agli eredi un valore equivalente la quota del socio defunto.

 2.  Continuazione della società con i successori

Non vige l’obbligo dell’ingresso degli eredi nella società, ma qualora questi ne facciano specifica richiesta, i soci hanno diritto di decidere se accettare il subentro nella stessa di tutti o alcuni tra i successori del socio defunto.

 3.  Scioglimento

Venuto meno il rapporto socio-società, i rimanenti possono decidere di metterla in liquidazione. In questo caso gli eredi dovranno aspettare la conclusione dell’iter per incassare il credito.

Come sopra accennato, un caso particolare può essere rappresentato da apposite clausole contenute nello statuto volte a disciplinare la morte di un membro della compagine sociale. Accortezze poste a specifica, reciproca tutela dei soci e della stessa società, che raccomandiamo sempre ai nostri clienti di valutare come rilevante strumento di responsabilità e custodia.

Clausole di continuazione e consolidazione: una preventiva e importante garanzia di tutela
 Le clausole di continuazione:

consentono ai soci di normare ex ante (al momento, cioè, della redazione dello statuto o in sede di modifica successiva dei patti sociali) l’ingresso degli eredi nella società in caso di morte di uno dei soci. La loro adozione, che comporta l’aprioristica esclusione delle restanti opzioni di liquidazione o scioglimento, può inoltre prevedere

– “continuazione facoltativa” (i soci superstiti sono obbligati a continuare la società con i successori del defunto, che tuttavia hanno la facoltà di accettare o meno il rapporto);

– “continuazione obbligatoria” (i soci superstiti sono obbligati a continuare la società con gli eredi del defunto, che sono a loro volta obbligati ad acconsentire, aderendo al contratto sociale);

– “continuazione automatica” (tanto i soci superstiti che i successori sono obbligati a condividere titolarità e gestione della società. A differenza della precedente, tuttavia, non si prevede per i successori l’esplicito espletamento d’alcuna formalità d’accettazione del contratto sociale).

Va detto che parte della giurisprudenza considera dette clausole soggette a piena validità per il fatto che l’erede può rinunciare all’ingresso in società semplicemente rifiutando l’eredità che, nel novero dei beni patrimoniali, contenga anche quote sociali. La stessa Cassazione civile ha ritenuto le clausole di continuazione valide, in deroga a quanto stabilito nell’art. 2284 c.c., con la sentenza 15395 di giugno 2013, purché oltre alla trasmissibilità automatica della qualità di socio all’erede, non sia trasmessa anche la “funzione” di amministratore, non attribuibile, in una Sas, di diritto, a tutti i soci accomandatari.

Clausole di consolidazione:

garantiscono ai soci il pieno diritto sulla quota societaria dell’eventuale defunto (che verrà tra loro ripartita), mentre agli eredi può o meno spettare la liquidazione del valore equivalente. Due i tipi di clausola di consolidazione/concentrazione, che possono essere

– “pura” (prevede l’accrescimento della quota del socio defunto ai superstiti senza l’obbligo di liquidarla agli eredi, mancato riconoscimento pecuniario che ha portato tuttavia la Cassazione, nella sentenza n. 1434 del 16 aprile 1975, a ritenere la clausola invalida);

– “impura” (prevede l’acquiszione della quota ai soci restanti ma impone la liquidazione agli eredi in ragione del “valore effettivo” rappresentato dalla società).

Quanto detto finora dimostra quale importante strumento di scelta e tutela rivesta lo statuto societario. Valido ed incisivo singolarmente, ancor più efficace se corredato d’altri accorgimenti”, lo statuto si conferma preziosissimo per pianificare e gestire al meglio le vicende successorie al fine di salvaguardare il patrimonio e garantire la continuità aziendale. Una conferma in più che questo ottimo alleato non è solo un dovuto atto legale, ma l’anima stessa della società, un testo che ne incarna obiettivi, valori, potenzialità. Un elemento da strutturare con cura in ogni suo specifico contenuto, certo, ma anche un documento che è utile non “dare per scontato” in qualche cassetto. D’intanto è opportuno “rispolverarlo”, e tener a mente che, al bisogno, può essere integrato e migliorato, crescere con il crescere dell’azienda.