Il nodo riduzione del capitale, tra distinguo amministrativi e problemi interpretativi
Si parla di morosità d’un socio quando questi non ottemperi al versamento dei dovuti conferimenti entro il termine di diffida da parte degli amministratori (15 giorni per le Spa e 30 per le Srl). Va detto che, nel caso di versamenti in denaro, l’art. 2342 del Codice civile prevede si possa inserire, in atto costitutivo o nelle delibere di aumento capitale, il versamento del 25% del dovuto ad anticipo. In caso il socio debba corrispondere beni in natura, invece, non sussiste alcuna possibilità di dilazione.
L’iter nelle Spa
Gli step successivi la messa in mora (secondo quanto prescritto dall’art. 2344 c.c.) prevedono pubblicazione in G.U. di diffida e, a seguire, in base a decisione del cda aziendale, o l’esecuzione forzata del conferimento o l’offerta delle azioni agli altri soci “in proporzione alla loro partecipazione, per un corrispettivo non inferiore ai conferimenti ancora dovuti”. Qualora manchino in toto o in parte le offerte, gli amministratori possono optare per la messa in vendita delle azioni a rischio e per conto del socio moroso. Se anche questo tentativo va deserto, l’organo amministrativo si trova di fronte ad un’altra scelta: può infatti esercitare la normale azione d’inadempimento o, trattenute le somme eventualmente riscosse, dichiarare il socio decaduto. In questo secondo caso quanto riscosso dal moroso sarà imputato a capitale e le azioni rimesse in circolazione nell’estremo tentativo di scongiurarne l’obbligatoria estinzione, con conseguente riduzione del capitale sociale.
Se è questo, infatti, l’effetto dovuto al mancato rientro del credito totale, va tuttavia osservato come la riduzione trovi dissenso tra quanti la connoterebbero di natura “reale” (cioè volontaria) piuttosto che “nominale” (obbligata). La dottrina prevalente sposerebbe la prima ipotesi, ma non manca chi sostiene che sia da intendersi “reale” il quid già versato dal socio, mentre “nominale” la porzione di capitale rimasta scoperta. Il distinguo non è questione di poco conto se si considera che lo status di “nominalità” interdice i creditori sociali dall’opporsi all’esecuzione della riduzione del capitale.
L’iter nelle Srl
Anche in questo caso il primo passo è la diffida del socio ad opera dell’organo amministrativo, che gli intima il versamento del dovuto entro e non oltre i 30 giorni successivi. A dispetto delle Spa, tuttavia, in cui lo status di moroso è ufficializzato dal mancato rispetto del termine temporale, nella Srl il socio è da considerarsi tale già al momento della delibera assembleare. A seguire l’iter prevede, come nel caso delle Spa, o l’esecuzione forzata del conferimento o l’offerta delle quote agli altri soci. Di fronte all’assenza d’interesse per quest’ultime, le opzioni sono: vendita all’incanto (se prevista da statuto) o esclusione del socio (trattenendo quanto d’eventualità parzialmente riscosso), riducendo il capitale in proporzione. La riduzione è infatti, per le Srl, un atto automatico e immediatamente dovuto (senza dunque preventiva delibera assembleare) al momento dell’esclusione di un socio.
Perdita di diritti del socio decaduto
Se il moroso è privato del diritto di voto, la dottrina propende anche per l’esclusione del diritto d’intervento in assemblea, benché le sue quote mantengano influenza sul quorum della stessa, come da 3° comma dell’art. 2368 c.c.. Nelle Spa, infine, il socio può detenere (in base al principio di autonomia delle azioni) due o più pacchetti azionari. In questo caso la sospensione dal diritto di voto vige proporzionalmente alla sola quota gravata da messa in mora.