Secondo la Cassazione va attesa la conclusione dell’esercizio d’avvio più altri due
La Corte di Cassazione quest’estate è tornata sul tema della fiscalità delle società di comodo e dell’applicazione dei cosiddetti test di operatività. L’ordinanza n. 22007 dello scorso 30 luglio, nell’esprimersi a favore del ricorrente, ha in particolare stabilito come il test non possa prendere in considerazione l’anno d’avvio della società e, dunque, debba essere escluso anche il biennio successivo: solo a partire dal quarto anno, secondo i giudici, si verificherebbero le condizioni utili a procedere, cioè un triennio continuativo d’esercizio.
Il pregresso normativo della disciplina
È la Legge n. 724 del 23 dicembre 1994 che, all’art. 30, definisce società di comodo (o “non operative”) come quelle che non superino uno specifico test di operatività finalizzato a dimostrare l’adeguato livello di ricavi in rapporto ai beni patrimoniali detenuti. L’obiettivo è il contrasto all’elusione fiscale, e a tale scopo la disciplina è ripresa in seguito dalla Legge n. 296 del 27 dicembre 2006 (la Finanziaria 2007), che la rinforza prevedendo per le società che non producono ricavi minimi o risultino costantemente in perdita, l’attribuzione di redditi presunti.
Il caso in oggetto
La recente ordinanza prende le mosse dal ricorso di una società di capitali costituitasi nel 2006 verso cui nel 2008 è stato mosso accertamento a seguito di mancato superamento di test di operatività. La sentenza di secondo grado aveva ritenuto legittimo l’operato dell’Agenzia delle Entrate nonostante non fossero oggetto del test tre interi e consecutivi anni d’esercizio. Stante quanto previsto dall’art. 76, comma 2, del TUIR, del resto, il periodo d’imposta è di norma costituito dall’esercizio sociale, e proprio la succitata Legge n. 724 del 1994 osserva, all’art. 30, comma 2, come ricavi, proventi, ma anche i valori di beni e immobilizzazioni vadano assunti in base alle risultanze medie di un esercizio e dei due precedenti, con esclusione della rilevanza del primo, che non va quindi in essi ricompreso.
La decisione
Richiamata la precedente ordinanza n. 25158 del 19 settembre 2024 a tema sanzioni a seguito violazioni tributarie e responsabilità per difetto dell’elemento soggettivo, la Cassazione ha quindi chiarito come a favore del ricorrente sia da considerarsi la “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 30 c. 1 e 2 della L. n. 724 del 1994 in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere la pronuncia gravata erroneamente ritenuto legittimo l’accertamento dell’Ufficio nonostante sia stata assoggettata la società contribuente al test di operatività mentre invece difettava la possibilità di sottoporla a verifica delle risultanze su base triennale non essendo l’anno 2006, anno di costituzione della stessa, indicativo ai fini della verifica sulla base della disciplina applicata”. Se dunque l’Agenzia delle Entrate intende contestare la non operatività nei due anni successivi, eccedenti il primo, dovrà farsi carico dell’onere della prova.