L’importante sentenza segna il passo della tutela per la famiglia da parte dei coniugi
In molti parlano di “sentenza storica”, e davvero quella del 21 luglio scorso a firma della Corte di Cassazione, la n. 20415, definisce la piena legittimità degli accordi sottoscritti dai coniugi sia prima di contrarre matrimonio che in seguito. Qualcosa già largamente in uso e riconosciuto in molti Paesi esteri che, tuttavia, in Italia mancava finora di pieno riconoscimento.
Il pregresso
La sentenza ribalta e traccia nuove prospettive in tema di diritto di famiglia. Finora, infatti, per quanto esistessero forme d’accordo preventivo tra marito e moglie, queste non erano mai considerate valide a fronte di crisi coniugale. Una sorta di “regola non scritta” che vedeva i giudici appellarsi all’“illiceità della causa” qualora, in sede di divorzio, la corte si fosse trovata di fronte a simili contratti. In particolar modo se redatti prima dell’unione, i cosiddetti “prenuptial agreements”, pensati per stabilire aprioristicamente le conseguenze patrimoniali o personali di un’eventuale separazione, erano visti come nocivi all’istituzione stessa del matrimonio, quasi rischiassero di svilirne serietà e impegno verso la costituenda famiglia. Giurisprudenzialmente ci si appellava all’art. 1322 del Codice Civile, secondi cui “Le parti possono anche concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico” che, a fronte della discrezionalità interpretativa, vedeva considerati detti “interessi” meno prioritari rispetto alla tutela della famiglia.
Una concezione superata
La Cassazione, con la sentenza dello scorso luglio, fa scuola circa un deciso cambio di rotta e una visione più moderna della stessa famiglia: non più “entità superiore” cui sacrificare beni e indipendenza economica, ma unione di soggetti liberi, consapevoli e autonomi. Un’autodeterminazione che punta a rilevare come legittimo e tutelabile l’interesse del singolo, al contempo concorrendo ad evitare conflitti economici in seno alla famiglia. In caso di divorzio, in pratica, scopo prioritario è, per i giudici, evitare costose lungaggini legali, immobilizzazione di beni e logoranti dissidi tra le parti. Secondo la rilettura da loro operata, il contratto prematrimoniale si limiterebbe a stabilire aprioristicamente delle scelte che troverebbero efficacia solo al verificarsi di una particolare e futura condizione: il divorzio. Quest’ultimo si caratterizzerebbe dunque come “condizione sospensiva lecita”, determinando la sopravvenuta liceità e operatività dell’accordo in precedenza sottoscritto dai coniugi.
Il caso di specie
La recente sentenza prende le mosse dal caso di una moglie che ha dimostrato d’aver impiegato i propri fondi personali per concorrere al pagamento del mutuo finalizzato all’acquisto di casa e arredamento intestati, tuttavia, al solo marito. I due avevano preventivamente firmato una scrittura privata in cui quest’ultimo, in caso di separazione, avrebbe continuato a godere in forma esclusiva dei beni impegnandosi tuttavia a rifondere l’ex moglie. La Cassazione ha riconosciuto la validità del documento in ragione del razionale equilibrio all’origine della sua redazione, definendo il “riassetto patrimoniale giusto ed equilibrato”. Nel caso di specie il fallimento del matrimonio, si è sottolineato, non era da intendersi come causale all’accordo, ma un evento condizionale che, semplicemente, una volta verificatosi, ha reso lo stesso valido secondo il nostro ordinamento giuridico.