Incostituzionale licenziamento illecito 6 mensilità Studio Gnecchi

PMI: incostituzionale l’indennità di sei mensilità per licenziamento illecito

La Corte Costituzionale sul tema del tetto risarcitorio introdotto dal Jobs Act

In una recente sentenza, la n. 118 del 23 giugno scorso, la Corte Costituzionale dichiara “l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183), limitatamente alle parole ‘e non può in ogni caso superare il limite di sei mensilità’”. La decisione dei giudici interviene così a rimovere uno dei punti cardine del Jobs Act: il suddetto limite risarcitorio a seguito di licenziamento illegittimo.

 

Lo stato dell’arte precedente la sentenza

La norma censurata dalla Corte Costituzionale prende le mosse dall’ipotesi di un tetto massimo d’indennità dovuta dal datore di lavoro a un dipendente illegittimamente licenziato in un contesto aziendale di specifiche dimensioni: non oltre 15 impiegati per unità produttiva per non più di 60 dipendenti complessivi. In questo specifico caso il risarcimento non avrebbe potuto superare l’ammontare delle 6 mensilità per ogni anno di servizio.

 

La pronuncia anticipatoria

Il 7 giugno 2022 la Corte Costituzionale era già parzialmente entrata nel merito con la pronuncia n. 183, attraverso la quale aveva definito anacronistico un meccanismo di tutela che prendesse a parametro il numero di dipendenti e, in particolare, disciplinasse deroghe o varianti applicative per le aziende di piccole dimensioni. A comprova dei criteri ormai datati aveva richiamato “l’incessante evoluzione della tecnologia e dalla trasformazione dei processi produttivi” come condizioni in grado di generare ingenti volumi d’affari e cospicui investimenti anche da parte di PMI che, banalmente definite su base del numero degli occupati, nulla avevano in realtà da eccepire ad aziende di grandi dimensioni. Se scopo della legge era in origine quello di “non gravare di costi sproporzionati realtà produttive e organizzative che siano effettivamente inidonee a sostenerli”, avevano osservato i giudici, erano altri i parametri con cui valutare detta caratteristica. Non a caso, in quell’occasione, gli stessi avevano invitato il Legislatore a una revisione della normativa vigente.

 

Il nuovo indirizzo

La recente sentenza punta a tutelare la dignità del lavoratore e il principio di uguaglianza: valori che passerebbero in secondo piano laddove, in assenza della dovuta personalizzazione del danno, una liquidazione fosse forfetizzata all’interno di limiti come quello delle 6 mensilità. Perché il dipendente vittima di licenziamento illecito abbia a percepire un’indennità congrua, hanno confermato i giudici, accanto ad indici quantitativi sulla base del numero di occupati è bene si considerino parametri suppletivi quali fatturato o totale di bilancio dell’azienda. Solo così facendo l’indennità risulterà adeguatamente aderente alle specifiche caratteristiche dimensionali e di portata economica dell’impresa. A queste considerazioni si aggiunge anche una riflessione sull’efficacia della funzione deterrente della sanzione: se infatti da parte del datore di lavoro è facilmente prevedibile l’importo dell’eventuale dovuto a seguito del ricorso per licenziamento illecito, società di piccole dimensioni ma alto potere di spesa potrebbero operare elusivamente allo stesso soppesandone preventivamente l’incidenza economica.