Cessione d'azienda, quote e Cassazione

Cessione totale di partecipazioni e cessione d’azienda

Con l’ufficialità introdotti dettagli circa decorrenze, procedure d’accesso e controlli

La recente sentenza della Cassazione: deve considerarsi prevalente la sostanza sulla forma

La recente sentenza n. 14031, depositata il 21 maggio scorso, ha visto la Cassazione ritornare sul tema della cessione totalitaria di quote d’una società di persone o capitali e, in particolare, indagare quanto attenga alla disciplina sull’abuso del diritto e l’interpretazione degli atti ai fini del calcolo dell’imposta di registro.

 

Il lungo dibattito sul tema

Quello degli effetti della cessione totalitaria è un argomento che si è più volte presentato nell’ultimo decennio e la stessa Agenzia delle Entrate ha provveduto a riqualificarne lo status così modificando anche la relativa imposta di registro. Dibattuto e oggetto del contendere è stato soprattutto l’articolo n. 20 del Testo unico n. 131 del 24 aprile 1986 (superato dall’art. 1, comma 87 della Legge n. 205 del 27 dicembre 2017), la cui illegittimità costituzionale, successivamente contestata dalla Cassazione, è stata ritenuta infondata dalla sentenza n. 158 del 10 giugno 2020 ad opera della Corte Costituzionale. Un chiarimento che non ha impedito alla Cassazione di tornare sull’argomento l’anno seguente, con la sentenza n. 39 del 7 gennaio.

Anche se l’amministrazione finanziaria ha da allora più volte richiamato l’uguaglianza sostanziale tra cessioni totalitarie di partecipazioni sociali e cessioni d’azienda, il 2024 ha tuttavia visto nuove contestazioni all’interpretazione. Ben 4 sentenze nel solo mese di marzo hanno infatti tratteggiato un distinguo tra le due condizioni tanto sul piano civilistico che fiscale, convenendo che l’imposta di registro sia da applicarsi sempre in misura fissa.

Alle sentenze n. 10243, 7470, 7495 e 7613 dello scorso mese, ecco aggiungersi ora quella in oggetto, che sembra ribaltare nuovamente la situazione.

 

La nuova sentenza

La sentenza n. 14031 ribadisce, in riferimento al succitato Testo unico del 1986, l’applicazione del principio giurisprudenziale della “prevalenza della sostanza sulla forma”. Rilevando le specifiche differenze giuridiche tra atto di cessione di quote e atto di cessione d’azienda, la Cassazione sostiene così che, una volta portato alla registrazione l’uno o l’altro che sia, l’applicazione dell’imposta di registro debba andare oltre al titolo e alla “forma apparente” dell’atto stesso.

Il procedimento, in pratica, a prescindere dalle ragioni economiche e commerciali che abbiano determinato la cessione oggetto di causa, deve procedere rilevando se la scelta dei contraenti sia stata dettata da contenuto rilevante o da mero tentativo di risparmio. Qualora l’operazione possa configurare un abuso del diritto, l’Ufficio può a buon diritto avvalersi dell’art. n. 10 bis della Legge n. 2012 del 27 luglio 2000 per contestare l’illegittimo risparmio fiscale.