Fondo patrimoniale: sta al creditore dimostrarne l’aggredibilità

La Cassazione interviene sul tema del fondo per i bisogni della famiglia in caso di debiti

In caso di debiti assunti nell’esercizio dell’attività d’impresa, sta al creditore l’onere della prova che il fondo patrimoniale non risponda in maniera immediata e diretta ai bisogni della famiglia e, dunque, richiedere che lo stesso (beni mobili, immobili o titoli di credito) risponda a garanzia del credito.

Il fondo patrimoniale

Nel diritto civile italiano, dove sono regolati dagli artt. 167 e successivi del Codice civile, il fondo patrimoniale si caratterizza come un insieme di beni da intendersi come patrimonio separato che, istituito dai coniugi (o da un terzo a loro vantaggio) mira a garantire bisogni relativi al diritto di mantenimento, assistenza e contribuzione per la famiglia. Su detti beni e loro eventuali frutti non è possibile agire forzosamente: rispondono solo per obbligazioni contratte nell’interesse della famiglia.

L’efficacia del vincolo di destinazione, tuttavia, ha visto nel 2015 con l’art. 12 del D.l. n. 83 del 27 giugno e conseguente introduzione dell’art. 2929-bis del Codice civile una maggiore apertura all’azione del creditore che, al posto d’attendere che un giudice si esprimesse in merito all’eventuale liceità del pignoramento, ha potuto contare su una sorta di “presunzione di frode” per dare immediato seguito all’esecuzione forzata. Una novità che ha sollevato non pochi dubbi sulla sua costituzionalità: rimettendo al debitore l’onere della prova si andava infatti rischiando una scorretta ed eccessiva limitazione del diritto di difesa.

Il caso in primo grado e appello

Con l’ordinanza n.27652 del 28 settembre scorso, i giudici sono intervenuti su un contenzioso inerente decreto ingiuntivo emesso da una banca (per scoperto sul conto d’una società garantita) per cui è iscritta ipoteca su un immobile costituito dai coniugi soci unici e fideiussori della società stessa in fondo patrimoniale. I due hanno proceduto a opposizione sulla base, loro dire, d’infondato collegamento tra obbligazione di garanzia e soddisfacimento dei bisogni familiari. I primi due gradi di giudizio non hanno accolto il ricorso dei coniugi sulla base dell’assunto che la garanzia personale fosse prestata a vantaggio dell’azienda, fondando dunque ragionevole correlazione tra debito, esigenze di famiglia e tenore di vita al cui soddisfacimento provvedeva l’attività imprenditoriale. Le pronunce hanno fatto entrambe specifico riferimento al fatto che spettasse ai debitori dare debita prova delle condizioni previste dall’art. 170 del Codice civile in merito a tutela e non aggredibilità del fondo patrimoniale.

La Cassazione entra nel merito

È proprio quest’ultimo principio a venir messo in discussione dai giudici. A commento della pronuncia, la Cassazione ha richiamato tra l’altro anche la precedente sentenza n. 5017 del 25 febbraio 2020, che invero potrebbe risultare funzionale proprio ad una lettura dell’attività lavorativa come strettamente correlata col benessere familiare e, dunque, imprescindibile da quello. Partendo da questo presupposto, osservano tuttavia i giudici, è bene operare un chiaro distinguo perché non sia avallato un irrimediabile automatismo che svilirebbe il significato stesso dei fondi patrimoniali, demandandoli meccanicamente a medesimo fine della società. I debitori, conclude l’ordinanza, assolvono l’onere probatorio richiamando quanto comprovi la non diretta finalizzazione dei debiti ai bisogni di famiglia. Sta dunque piuttosto al creditore fornire ragionevole motivazione del contrario.