La Cassazione sull’imposta dovuta qualora si delinei integrazione ad una nuova donazione
A intervenire sul tema la 5 sezione Civile cella Cassazione con la sentenza n. 16681 del 17 giugno scorso, che ha così chiarito come applicare l’art. 20 del Testo unico n. 131 del 26 aprile 1986 alla riqualificazione di un contratto di donazione alla luce della scelta delle parti di una risoluzione per mutuo dissenso che comporti un nuovo trasferimento di proprietà al proprietario originario. Una condizione che deve scontare il versamento d’imposta nella misura prescritta dal registro proporzionale.
Il caso
I ricorrenti avevano operato due donazioni attraverso le quali la madre cedeva al figlio altrettanti cespiti immobiliari: un fabbricato e un terreno edificabile. Il nuovo proprietario nel corso dei dieci anni successivi l’atto aveva disposto dei beni edificando 29 unità immobiliari e varie autorimesse. A seguire la stipula di un contratto di mutuo consenso alla risoluzione aveva lo scopo di restituire i beni alla donante con efficacia retroattiva: una decisione “letta” dall’Agenzia delle Entrate come autonoma donazione e, dunque, oggetto di tassazione. Oltre alla violazione dell’art. 20 sopra citato, i ricorrenti lamentavano l’assenza di “animus donandi”.
La decisione della Corte
In merito alla prima contestazione, quella cioè riferita all’art. 20 del Testo unico n. 131 (modificato dall’art. 1, comma 87 della L. n. 205 del 27 dicembre 2017 e dall’art. 1, comma 1084, della L. n. 145 del 30 dicembre 2018) i giudici hanno stabilito che “l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponde il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati”. Un’interpretazione, la loro, propria dell’“interpretazione fiscale, che ha natura autonoma e derogatoria rispetto alle comuni regole civilistiche dell’interpretazione negoziale”.
Stante questo presupposto, la sentenza passa a considerare la natura stessa dell’atto di mutuo consenso e osserva come il ricorrervi premetta intrinsecamente non siano ancora prodotti gli effetti traslativi alla base dello stesso. Non è il caso in oggetto: che li vede ampiamente realizzati. Il nuovo atto sottoscritto tra le parti è dunque da intendersi come “un nuovo negozio avente effetti uguali e contrari al precedente”. Trattandosi di nuovo passaggio di ricchezza, conclude la Corte, è dunque corretto applicare debita tassazione. L’imposta di donazione al mutuo consenso, in più, andrà applicata sì ai beni in origine donati e in seguito retrocessi, ma anche sul rinnovato valore da quelli maturato.