Cassazione: in società a ristretta base l’onere probatorio spetta al socio

Accertamenti per presunta distribuzione utili extra-bilancio ed esigue dimensioni societarie

La recente Sentenza n. 13524 del giugno 2023 vede la Corte di Cassazione porre chiarezza sul tema: laddove sussista un’esigua base sociale l’onere della prova si sposta sul singolo socio.

La Cassazione si è espressa di frequente sulla natura contrattuale di responsabilità degli amministratori nei confronti della società, non ultimo intervenendo con la Sentenza n. 25056 del 9 novembre 2020 sul distinguo tra violazione dei doveri in capo ai gestori per legge o statuto da un lato (art. 2392 del Codice civile) ed eventuali responsabilità d’onere probatorio dall’altro. Ma in caso d’accertamento a carico della società, la ristretta base sociale o familiare della stessa può tradursi in elemento di discrimine? Il recente intervento dei giudici concorre a meglio circoscrivere la questione e a individuare nella sua ridotta dimensione (dunque particolarmente gravata da reciproci vincoli di solidarietà e mutuo controllo) proprio quell’elemento che riconduce l’onere della prova in capo ai singoli.

Il caso all’origine della sentenza

La vicenda prende le mosse da cinque avvisi d’accertamento per il recupero a tassazione delle maggiori imposte dirette di una società, compresa l’IRPEF connessa al maggior reddito di partecipazione attribuito ai suoi due soci. L’Ufficio competente è partito dalla presunzione di distribuzione d’utili extracontabili basando dunque l’imposizione anche sul maggior reddito conseguito dai soci stessi. Questi hanno impugnato l’avviso sulla base, loro dire, di un’inadeguata verifica dello stato d’effettiva esiguità della compagine societaria. Un elemento che la Cassazione ha ritenuto esiziale.

La decisione

A tema legittimità circa la presunzione di distribuzione degli utili non contabilizzati dalla società a ristretta base societaria, i giudici hanno osservato come la stessa costituisca oggetto di specifico accertamento probatorio e, dunque, valida premessa all’avvio di una verifica su detti ricavi con conseguente ricaduta di accertamenti sui soci circa i dividendi. Perché detta presunzione sia superata, sta al singolo socio, laddove non possa dimostrare la mancata distribuzione degli utili, contestare l’effettivo conseguimento dei profitti della società:

“Questa Suprema Corte ha numerose volte ritenuto ammissibile la presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati, ma ha chiarito che, perché tale presunzione possa operare, occorre pur sempre che la ristrettissima base sociale o familiare, cioè il fatto noto alla base della presunzione, abbia costituito oggetto di uno specifico accertamento probatorio: ed invero solo una volta che sia stato stabilito che la titolarità delle azioni e l’organizzazione aziendale sono concentrate in una stretta cerchia personale o familiare, il giudice di merito non può escludere la distribuzione ai soci di utili non contabilizzati, limitandosi a prender atto della inapplicabilità dell’art. 5, DPR n. 917/1986. I giudici hanno quindi richiamato l’orientamento secondo cui: “in tema di accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo a quelli di capitale, nel caso di società a ristretta base sociale è legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili, la quale non viola il divieto di presunzione di secondo grado, poiché il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della società, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale”.

Interessante, in questo contesto, anche il richiamo ad una precedente sentenza sempre della Cassazione: la n. 1658 del 19 gennaio 2022. In essa si osservava come l’ufficio accertatore potesse a buona ragione considerare configurata la presunzione legale relativa in un’indagine che aveva operato l’analisi dei conti correnti personali dei soci in cui la movimentazione, a detta dei giudici, era possibile ritenere strettamente legata alla loro partecipazione alla società a ristretta base azionaria.

Una pronuncia, dunque, che già suggeriva l’orientamento della Cassazione a riconoscere il sussistere d’una stretta correlazione tra modus operandi dei soci nella ripartizione di utili extra contabili e la stessa società. Condizione che, concorre ora la recente sentenza, sta ad essi stessi dimostrare estranea.